giovedì 1 dicembre 2011

45 giorni

Questo non è un post allegro. Chi cerca una risata oggi, non legga le parole che seguono.
Chi resta sappia che quello che sta per leggere è una piccola, personale, testimonianza di quello che di triste può accadere nel mondo del lavoro.
Una semplice testimonianza. Che non pretende di cambiare, ma solo di informare.
Perchè tutto mi si può dire, ma non che pecco di omertà.

Il dado è tratto. Ieri è stato l'ultimo giorno di lavoro.
Lo posso ufficializzare: ho lasciato il mio posto, impiegata tecnica per la sicurezza sul lavoro presso un'azienda udinese - contratto indeterminato PT 30 ore.
Detta così, è un'azione da folli.
E probabilmente lo pensano - anche se non lo dicono - tutti quelli che mi stanno intorno, vicini e lontani.
Con i tempi che corrono, la crisi e tutto il resto, l'ultima cosa che si dovrebbe fare è lasciare il proprio lavoro.
Bene, a tutti quelli che la pensano così, che si fermano al primo strato della questione, senza indagare più a fondo - per mancanza di tempo o confidenza - voglio spiegare perchè.
Perchè si arriva a fare una scelta così drastica in un momento critico.


Ebbene, come spesso accade in questi casi, il tutto è partito in maniera non volontaria.
Inizialmente sono stata costretta a valutare questa ipotesi per pura sopravvivenza. Psicologica.
Da quando sono rientrata a lavorare, dopo la maternità [5 mesi di assenza obbligatoria + 2 di facoltativa] l'ambiente lavorativo è diventato ostile.
Non che mi aspettassi i tappeti rossi, ben inteso.
Già prima di diventare mamma le battute sulle donne si sprecavano, con allusioni velate alla minore produttività rispetto agli uomini (ma ne vogliamo parlare?), al fatto che - prima o poi - si "resta" incinta e si frega l'azienda.
Cose così, che ti scivolano addosso e a cui non fai caso, finche non ci sei dentro.

Ebbene: al rientro in ufficio sono stata penalizzata perchè con le due ore di permesso per allattamento la mia presenza in ufficio era limitata alla mattina.
Quindi non ero abbastanza disponibile, per i clienti, per il lavoro.
D'altronde, ho scelto di diventare mamma...

Mi sono ritrovata esclusa, senza nuove pratiche da svolgere, quindi professionalmente ferma.
E si sa che, in un lavoro dove devi rincorrere le normative, dove non puoi permetterti di perdere nemmeno un giorno, dove già i 7 mesi a casa mi avevano rallentato, questo vuol dire essere out.
Figuriamoci restare esclusa dalle decisioni aziendali prese perchè le riunioni erano - casualmente - tutte al pomeriggio e senza verbale.
Ho passato mesi d'inferno.
Piangendo ogni santa mattina in auto prima di arrivare in ufficio.
In quell'unico quarto d'ora di solitudine dove potevo sfogare la mia angoscia senza destare preoccupazioni o frettolosi giudizi.

Non capivo il perchè di questo trattamento.
Possibile che la mia colpa fosse solo quella di essere donna?
Possibile che non vedessero la buona volontà, la voglia di lavorare, di collaborare, di condividere?

Poi ho capito.
Lì, in quel'ambiente, SI' la mia colpa era quella. Essere donna ed essere mamma.
E avere carattere.
Senza dubbio se fossi stata più passiva, accomodante, ammiccante, sarei ancora lì.
Ma ho capito, nel momento in cui una parte di me si stava perdendo nel pozzo senza fondo di un inizio di depressione, che non era giusto.
Che non avevo fatto niente di male. Rivendicavo solo il mio diritto a lavorare. Serenamente.

Una volta capito questo, una volta che anche la persona a me più vicina si è resa conto che così non avrei potuto andare avanti, la decisione è stata chiara. Evidente. Lampante.

Non. E'. Il. Posto. Giusto. Per. Me.

Non è il campo in cui sbocciare. Non è il mio mare.
Non è il luogo dove poter esprimere me stessa e la mia creatività.
Non basta sopravvivere. Bisogna viverla la vita. Non subirla.

E quindi. Da oggi mi concedo 45 giorni.
Per fare mente locale, ascoltarmi e progettare il futuro.
Per ripartire, imparando dagli errori.
Conscia che ne farò e che saranno sempre importanti gradini di crescita.

Ma consapevole che la forza è dentro di me.
E nessuno - nessuno - ha il diritto di ferirmi così.
A meno che - io - non gli dia questo potere.

3 commenti:

netsurfer ha detto...

Hai tutto il mio appoggio...ora e sempre ;-)

Anonimo ha detto...

Sei coraggiosa e meriti ammirazione.
Incrocio le dita per te e per i tuoi progetti futuri
Agnese.

Anonimo ha detto...

Hai fatto bene, cara Anna a lasciare quel posto che da quello che mi avevi già raccontato al telefono, è un covo di maschilisti senza cervello. Non si meritano una come te.
QUesto è un momento di cambiamento totale ed anche per te vedo è così.
E' ora di capire che cosa si vuole e realizzarlo senza paura, qualsiasi esso sia.
Tu sei una persona straordinaria e di carattere sicuramente ti saprai sempre piazzare alla grande in qualsiasi campo sceglierai.
Sono con te e ti ammiro.
Mara

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